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COVID-19, perché gli anziani sono più colpiti?

Articolo di Mario Clerici Professore Ordinario di Immunologia e Immunopatologia, Università degli Studi di Milano
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L’epidemia di COVID-19 ha fatto esplodere un problema dell’invecchiamento noto a tutti, ma da molti finora sottostimato: la perdita di forza del nostro sistema immunitario aumenta il rischio di contrarre malattie infettive.
Per capire come questo accada, dobbiamo inoltrarci nella complessità del sistema immunitario, comprenderne i meccanismi d’azione e il perché si inceppino.

Il sistema immunitario: un esercito di cellule e molecole
Il sistema immunitario è un complesso insieme di cellule e molecole che ci difende dalle aggressioni esterne. Matura progressivamente dopo la nascita e accumula difetti e alterazioni nella senilità. Ciò spiega perché le età più avanzate della vita siano quelle nelle quali si osserva la maggiore incidenza di patologie, soprattutto infettive.

Le componenti cellulari più importanti del sistema sono i linfociti B, ossia le cellule che producono gli anticorpi, e i linfociti T, le cellule che coordinano le attività e intervengono direttamente quando si tratta di eliminare dall’organismo un agente “estraneo”, per esempio un virus o anche una cellula tumorale.

Il sistema immunitario matura progressivamente dopo la nascita e accumula difetti e alterazioni nella senilità.

I linfociti T, a loro volta, sono di due tipi diversi: i T-CD4 e i T-CD8. I primi sono i registi di tutte le risposte immunitarie, perché aiutano gli altri linfociti a diventare operativi quando l’organismo viene esposto a una aggressione esterna. I secondi sono gli effettori diretti della risposta immunitaria, perché sono capaci di eliminare direttamente le cellule infettate da virus e altri aggressori.

Quando il sistema immunitario invecchia
Un paradosso apparente dell’invecchiamento immunitario è quello di essere caratterizzato da due fenomeni contrapposti: i linfociti, da una parte perdono la capacità di reagire alle aggressioni esterne e vanno incontro a un processo chiamato immunosenescenza, dall’altra sono costantemente attivi in un processo chiamato inflammaging, che genera uno stato di infiammazione cronica latente che danneggia i tessuti e che è considerato una delle cause principali delle malattie legate all’invecchiamento.

L’invecchiamento del sistema immunitario è apparentemente paradossale: da un lato i linfociti sono meno efficienti, dall’altro sono sempre attivi.

Per capire come questi processi influenzino la capacità dell’organismo di rispondere alle infezioni, approfondiamoli uno a uno.

L’immunosenescenza
L’immunosenescenza è caratterizzata da difetti quantitativi e qualitativi. Il più noto è l’alterazione della funzione del timo. Il timo è una ghiandola che ha un ruolo funzionale molto importante nella maturazione del sistema immunitario e nel suo mantenimento. I linfociti T (CD4 e CD8) maturano nel timo, da cui poi vengono immessi nel sangue. Il timo si atrofizza progressivamente con il passare del tempo e ciò fa sì che non vengano più immessi in circolo questi linfociti.

Un’altra alterazione a cui va incontro il sistema immunitario col passare del tempo riguarda la composizione dei linfociti T.
Facciamo un passo indietro. I linfociti T possono riconoscere un agente patogeno (virus, batteri, etc.) grazie a un recettore specifico per l’agente patogeno in questione (chiamato antigene). Quei linfociti che circolano nel sangue e non hanno ancora incontrato il loro antigene sono chiamati naìve. Quelli invece che lo hanno già incontrato sono chiamati memory, perché si “ricordano” di quell’incontro.

linfociti memory sono i cardini della memoria immunitaria, quella per cui basta un incontro ravvicinato con l’antigene per generare migliaia di linfociti memory identici, alcuni dei quali rimangono poi in circolo per anni e, al momento del secondo incontro, proliferano di nuovo e lo eliminano molto rapidamente.

I vaccini si basano sul principio della memoria immunitaria, per cui basta un nuovo incontro ravvicinato con l’antigene per generare una risposta rapidissima che elimina il patogeno.

Questo è il principio su cui si basano i vaccini che espongono i linfociti T all’antigene (opportunamente disattivato e quindi reso innocuo) e generano quella memoria immunitaria che ci difenderà dai futuri attacchi e che può durare tutta la nostra vita.

Mentre nel giovane la maggioranza dei T linfociti è naìve, ossia non ha incontrato il bersaglio, nell’anziano c’è un forte accumulo di linfociti memory e una diminuzione di quelli naìve. In altre parole, con il passare degli anni accumuliamo cellule che si ricordano incontri precedenti (memory) ma perdiamo quelle giovani (naive) che servono per difenderci da antigeni nuovi mai incontrati prima.

Questa è una delle cause dell’indebolimento delle difese immunitarie contro nuovi virus e batteri che rendono gli anziani più suscettibili alle infezioni con agenti che non hanno circolato prima nell’essere umano.

Con il passare degli anni, accumuliamo cellule che si ricordano incontri precedenti (memory) ma perdiamo quelle giovani (naive) che servono per difenderci da antigeni nuovi mai incontrati prima

Nella perdita di funzione di tutte queste cellule gioca un ruolo importante anche un altro meccanismo, condiviso con tutte le altre cellule del corpo: la senescenza cellulare [link a B_002], un fenomeno per il quale le cellule perdono la capacità di autoeliminarsi quando arrivano alla fine del loro ciclo vitale, si accumulano e diventano cellule zombie. I linfociti senescenti danneggiano le altre cellule producendo citochine infiammatorie e contribuendo così all’altro fenomeno tipico dell’invecchiamento immunitario: l’inflammaging.

L’infiammazione cronica predispone l’organismo a reazioni infiammatorie acute che possono essere devastanti, come avviene, probabilmente, nella maggior parte dei pazienti anziani affetti da COVID-19.

Di norma l’infiammazione ha in sé la capacità di auto-sospendersi quando non è più necessaria, ma se il sistema immunitario viene messo a confronto con aggressioni ripetute, il processo infiammatorio può cronicizzare, diventando latente (senza sintomi e difficilmente rilevabile) e danneggiando tutti i tessuti. In altre parole è come se il sistema immunitario disperdesse le energie utili a difenderci per mantenere attivo uno stato infiammatorio cronico che ci danneggia.

L’infiammazione cronica predispone l’organismo a reazioni infiammatorie acute che possono essere devastanti. È quello che accade in alcuni pazienti, e probabilmente anche in alcuni anziani infettati dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2: l’infezione delle cellule epiteliali alveolari del polmone stimola una risposta infiammatoria esagerata, chiamata “tempesta citochinica”, che può portare al decesso.

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