Le cause
Al momento non esistono certezze sui meccanismi biologici alla base del Long Covid. Molti specialisti ritengono che si tratti, con tutta probabilità, di un insieme di sintomi eterogenei e con eziologia differente. Nel caso dei sintomi neurocognitivi del Long Covid, comunque, i principali indiziati sono due: l’azione diretta del virus sui tessuti del sistema nervoso e gli effetti dell’immunosenescenza e dell’inflammaging. Per quanto riguarda la prima ipotesi, non esistono ancora prove che Sars-Cov-2 infetti direttamente i neuroni, ma è stato notato che la malattia produce dei cambiamenti nel parenchima e nei vasi cerebrali e compromette l’attività della barriera ematoencefalica (aprendo probabilmente le porte all’arrivo di citochine periferiche nel cervello), tutte circostanze che possono comportare o peggiorare l’infiammazione dei tessuti cerebrali. È inoltre improbabile che sintomi che permangono a settimane e mesi dalla guarigione siano legati a un’azione persistente del virus, che solitamente viene eliminato dall’organismo entro la terza settimana dall’infezione. Mentre è facile ipotizzare che, almeno in parte, siano dovuti a fenomeni come la neuroinfiammazione, l’inflammaging (un’infiammazione cronica, di basso livello, dei tessuti cerebrali) e l’immunosenescenza, che esacerba gli effetti delle citochine, molecole coinvolte nei sintomi peggiori della malattia acuta, che potrebbero svolgere un ruolo anche nelle sequele di altri sintomi post-Covid.
A fianco di questi processi infiammatori è possibile che, almeno in alcuni casi, i sintomi del Long Covid siano legati allo stress subito dai tessuti cerebrali a causa di trombosi microvascolari e fenomeni neurodegenerativi. O, ancora, alla permanenza di frammenti virali, non più capaci di replicarsi ma in grado di interferire con il funzionamento del sistema nervoso centrale, e di dare vita a reazioni autoimmuni e fenomeni infiammatori localizzati. Nei pazienti più gravi, che hanno subito un ricovero in terapia intensiva, è impossibile infine escludere che i sintomi persistenti come l’annebbiamento (“brain fog”) e problematiche psichiatriche siano legati alle condizioni della degenza, ai farmaci e le terapie e allo stress psicologico. È noto, ad esempio, che il 20-40% dei pazienti che esce dalle terapie intensive (per qualunque causa) soffre di una qualche forma di deterioramento o deficit cognitivo.