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Sindrome Long Covid?

Articolo di Alberto Beretta Presidente e Direttore Scientifico di SoLongevity
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Siamo ancora abituati a considerare Covid-19 come una malattia dell’apparato respiratorio. Ma quello che osserviamo sui pazienti convalescenti ci spinge alla conclusione che più che di malattia dovremmo ormai parlare di sindrome. La parola sindrome in medicina viene utilizzata per definire situazioni cliniche complesse con interessamento di più di un organo e sistema. È il caso del Long Covid: un insieme molto variegato di sintomi e condizioni patologiche che seguono l’infezione acuta e che indicano un interessamento multiorgano. 

L’articolo di oggi è il primo di una serie dedicata al Long Covid nel corso della quale verranno approfonditi gli aspetti diagnostici e terapeutici e le prospettive della ricerca. L’impegno di SoLongevity su questo fronte deriva dalla convinzione che l’insieme dei sintomi e condizioni che osserviamo nei pazienti Long Covid sia in qualche modo ricollegabile agli stessi meccanismi molecolari che portano all’invecchiamento dell’organismo e che le tecnologie sviluppate dalla ricerca sull’invecchiamento potranno presto essere di aiuto per i pazienti Long Covid.

L’insieme dei sintomi e condizioni dei pazienti Long Covid sembra ricollegabile agli stessi meccanismi molecolari che portano all’invecchiamento

 

I sintomi del Long Covid

Un lavoro recente pubblicato sulla rivista Scientific Reports ha preso in analisi 15 articoli scientifici su un totale di 48.000 pazienti e ha elencato più di 55 sintomi che possono durare ben oltre i 120 giorni dalla negativizzazione del tampone e dalla guarigione. Lo studio ha rilevato la permanenza di sintomi nell’80% dei pazienti. I più frequenti sono: fatica (58%), mal di testa (44%), difficoltà a concentrarsi (27%), perdita di capelli (25%) e dispnea (24%). Altri sintomi e condizioni includono: tosse, dolore toracico, apnea notturna, fibrosi polmonare e riduzione della capacità di diffusione alveolare, aritmie e miocarditi, depressione, ansietà, disturbi dell’attenzione, nebbia cognitiva, disordini ossessivi-compulsivi.

Delle tre categorie di disturbi/sintomi più frequenti lo studio ha rilevato quanto segue:

  • Fatica: presente anche dopo 100 giorni dalla fase acuta. Gli autori fanno notare che in altre sindromi da distress respiratorio la fatica può durare più di un anno. Nei pazienti post-Covid si rilevano inoltre sintomi molto simili a quelli della Sindrome da Fatica Cronica (Chronic Fatigue Syndrome – CFS) che comprendono dolore, disabilità neurocognitive, disturbi del sonno e peggioramento dei sintomi dopo sforzi fisici o mentali. Da notare che la CFS segue tipicamente infezioni virali diverse come quella da citomegalovirus, virus di Ebstein Barr, virus erpetici.
  • Disturbi neuropsichiatrici: mal di testa, disordini dell’attenzione, anosmia, nebbia cognitiva e dolore neurogeno, insonnia. 
  • Disturbi respiratori: il 35% dei pazienti ha anomalie alla TAC anche 100 giorni dopo l’infezione. Il 35% riporta dispnea e il 25% tosse. Il 10% dei pazienti ha ridotta diffusione alveolare. In altri studi le anomalie polmonari sono state individuate in percentuali variabili (53% / 28% dei pazienti) in base alle indagini diagnostiche impiegate. Possiamo quindi parlare di Sindrome Long Covid.

Le cause del Long Covid

Il quadro clinico d’insieme è ancora difficilmente inquadrabile da un punto di vista delle cause e dei meccanismi. È molto probabile che alla base della moltitudine di sintomi ci sia uno stato di infiammazione sistemica scatenato nella fase acuta della malattia e poi cronicizzato. Lo studio ha infatti rilevato numerose alterazioni nei parametri di infiammazione. 

Si è ipotizzata una genesi autoimmunitaria del Long Covid ma per ora non ci sono dati a supporto. È vero che nei soggetti con malattie autoimmunitarie l’infezione può scatenare una ricaduta della malattia, ma questo è comune a molte infezioni virali e in ogni caso non implica un meccanismo autoimmunitario specifico scatenato dal virus SARS-CoV-2. 

In una percentuale significativa di pazienti il virus può rimanere annidato in tessuti diversi dalle mucose delle vie respiratorie, primo fra tutti l’intestino. Non sappiamo però in che misura la permanenza del virus a livello intestinale contribuisca alla sindrome Long Covid.

 

La cosa che più colpisce è la differenza della sintomatologia nei pazienti che hanno fatto una forma leggera di Covid senza interessamento polmonare rispetto a quelli che hanno fatto una forma più grave con interessamento polmonare. Nei primi il Long Covid tende a essere caratterizzato da sintomi neurologici, nei secondi da sintomi respiratori. Questa strana dicotomia potrebbe essere spiegata da differenze individuali nell’espressione nei vari tessuti delle molecole necessarie all’ingresso del virus nella cellula e alla sua replicazione. Differenze che potrebbero indirizzare il virus verso una o l’altra direzione, scatenando sintomatologie diverse. Ma siamo per ora solo nel campo delle ipotesi.

Il problema più grosso in ogni caso è la gestione dei sintomi neurologici (mal di testa, astenia/fatica, depressione, nebbia cognitiva ecc..) perché non ne conosciamo la causa e non abbiamo a disposizione terapie specifiche.

Alla base della moltitudine di sintomi del Long-Covid potrebbe esserci uno stato di infiammazione sistemica scatenato nella fase acuta della malattia e poi cronicizzato

 

L’80% dei pazienti riferisce di avere ancora sintomi a mesi di distanza dalla “guarigione” della Covid-19. Tra questi, i disturbi neurologici sono ancora i più difficili da gestire dato che non se ne conosce la causa

Cosa Fare ?

Innanzitutto, quando ci si trova di fronte ad un’entità sostanzialmente sconosciuta, la prima cosa da fare è inquadrarla dal punto di vista diagnostico con sistemi il più possibile standardizzati. A questo riguardo, l’espressione sintomatologica della sindrome Long-Covid può essere misurata sia nella componente fisica che in quella neurologica

La possibilità di scoring della fatica, del livello energetico e delle capacità cognitive (interessate per 1/3 dei pazienti) aiutano ad inquadrare il quadro clinico e a stabilire l’approccio diagnostico e le aree di intervento

Fondamentale è anche la valutazione dei parametri di funzionamento dell’attività cardiaca e respiratoria per chiarire quale è stato l’impatto dell’infezione sui sistemi fisiologici più esposti all’aggressione virale. In base alla storia del paziente, si può decidere per esempio se eseguire 

  • un monitoraggio continuo della variabilità del ritmo cardiaco (un parametro di alterazioni del sistema nervoso autonomico)
  • un ECG da sforzo
  • un’ecografia polmonare e diaframmatica
  • una spirometria
  • una TAC polmonare ad alta risoluzione 
  • un test da sforzo cardiopolmonare (CPET), uno strumento che permette di valutare in maniera integrata la componente cardio-respiratoria.

Il laboratorio può ovviamente essere di grande aiuto. Come già accennato si osservano spesso alterazioni dei parametri infiammatori, a sostegno di una genesi sostanzialmente infiammatoria del Long Covid. Ma per potere andare alle radici del problema sarà molto importante misurare altri parametri, non ancora disponibili nei laboratori di analisi ma già impiegati nei laboratori di ricerca.  

La sindrome Long Covid va inquadrata attraverso esami e test per misurare la componente fisica e neurologica, per valutare l’impatto dell’infezione

 

La ricerca di SoLongevity sul fronte Long Covid

La ricerca SoLongevity si sta muovendo in questa direzione concentrando le attività su tre aspetti specifici. 

Il primo riguarda lo studio dei parametri immunitari che potrebbero aiutarci nelle future scelte terapeutiche. Per questo ci avvaliamo di un sistema di misurazione delle molecole espresse sulle cellule del sistema immunitario che permette di valutare diversi tipi di cellule sia quantitativamente che qualitativamente (studio delle sottopopolazioni linfoidi e mieloidi).

Il secondo nasce da considerazioni di tipo molecolare derivate dalla letteratura scientifica su Covid. Sappiamo per esempio che quando il virus entra nelle cellule utilizza le loro riserve energetiche per costruire nuovi virus. Questo fatto mette in crisi le centrali energetiche delle cellule, i mitocondri, e quando i mitocondri vanno in crisi l’intera cellula soffre. SoLongevity ha messo a punto un test di “vitalità” dei mitocondri basato sulla misurazione delle copie di DNA in essi contenuti. Il test offre un read-out molto sensibile dello stato di salute generale, e in modo particolare dell’impatto che l’infezione ha avuto sulle cellule del sistema immunitario.

Il terzo nasce dalla constatazione che l’impatto multiorgano dell’infezione crea le condizioni per accomunare il Long Covid ad uno stato di invecchiamento accelerato. Facendo leva sui risultati delle nostre ricerche negli anni che hanno preceduto l’epidemia, siamo oggi in grado di misurare con precisione l’impatto dell’infezione sull’età biologica della persona, un indice che può a sua volta essere disaggregato fornendo indicazioni utili sull’impatto della malattia sui diversi organi.

Per potere andare alle radici del problema del Long Covid sarà molto importante misurare altri parametri, non ancora disponibili nei laboratori di analisi ma già impiegati nei laboratori di ricerca

 

La ricerca sta lavorando per identificare nuove frontiere terapeutiche per il Long Covid, tra cui supervitamine rapidamente accessibili e dal profilo di sicurezza elevato

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