Le donne vivono più a lungo degli uomini. Ma c’è una grande differenza tra longevità e longevità in salute, e oggi sappiamo che a incidere su questo gap sono anche fattori economici e sociali. Eppure, ancora, sono praticamente inesistenti i servizi finanziari e assicurativi pensati per rispondere al benessere sociale e alla resilienza economica delle donne. Che in realtà riguarda tutti ed è alla base della longevity economy. Ne parliamo con Nic Palmarini, Direttore del National Innovation Centre for Ageing (Nica) del Regno Unito.
Nic Palmarini, il genere è un fattore determinante della salute, da molti punti di vista. Che tipo di “utenti” della salute sono le donne?
“Le donne spendono il 29% pro capite in più degli uomini per la loro salute. E sono molto più propense a utilizzare strumenti digitali per migliorarla o monitorarla: lo è ben il 75%. Ancora: all’interno del nucleo familiare prendono l’80% delle decisioni che riguardano la salute. È il risultato di una cultura che le porta fin da giovanissime a essere più consapevoli dell’importanza dei controlli, dell’attenzione al proprio corpo e al benessere mentale. Oggi sono ancora le donne che portano gli stili di vita salutari in famiglia: che fanno la spesa e che decidono se far mangiare ai figli patate fritte o verdure. Questa ‘ondata di attenzione alla longevità’ a cui stiamo assistendo è di fatto accelerata dalle donne”.
Eppure i dati ci mostrano che esiste un gender health gap, ossia una differenza tra la salute maschile e femminile, soprattutto nell’età avanzata…
“È vero. Per una donna che nasce oggi l’aspettativa media di vita è di circa 85 anni, e si sta spostando sempre più verso i 90, ma se guardiamo all’aspettativa di vita in salute il dato crolla a 78 anni. Questo è in parte conseguenza di un altro dato oggettivo: le sfide che le donne si trovano ad affrontare nell’età avanzata sono incredibilmente più ardue di quelle degli uomini. Invecchiare nella nostra cultura occidentale è molto più facile per ‘lui’ che non per ‘lei’: basti pensare all’accettazione sociale e agli ostacoli nel mondo del lavoro. O ai cosiddetti divorzi grigi, sempre più frequenti, dopo i quali le donne restano più facilmente da sole rispetto agli uomini. Tutto ciò si ripercuote anche sulla loro salute e contribuisce al gender health gap”.
In che modo il mercato e l’industria sta rispondendo a questi bisogni di salute?
“Le start up e le aziende che offrono soluzioni per colmare il gender health gap si stanno moltiplicando, soprattutto in ambito digitale. Un esempio è Clue, la prima app sviluppata nel 2012 per monitorare i cicli mestruali: ha fatto storia come una delle prime Femtech companies, lasciando al palo anche Apple. Lo stesso termine Femtech è stato coniato dalla fondatrice e Ceo di Clue, Ida Tin, nel 2016. Le donne sono sempre più incoraggiate a parlare della salute sessuale, di mestruazioni, di menopausa, quindi non stupisce che abbiano cominciato a cercare delle soluzioni, il che ha decretato il successo di Clue. Di fatto esiste un’industria femtech che oggi è legata anche alla longevità al femminile. Un altro esempio che possiamo citare è il settore dei sex toys disegnati espressamente per donne over 50 come Elivie trainer, pensato per rinforzare la muscolatura del pavimento pelvico, con tanto di app. Almeno questi tabù stanno cadendo, come dimostra anche la storia della designer Alina Eynck che ha vinto il prestigioso Red Dot Award nel 2022 per i suoi sex toys di porcellana. Nel Regno Unito hanno cominciato a diffondersi anche i Menopausa Cafè, dei momenti di incontro tra generazioni diverse per capire cosa accade alle donne quando affrontano la menopausa – un evento fisiologico che segna chiaramente un momento preciso nel tempo – anche in ambito lavorativo e sociale. La menopausa è un trigger potente per poter parlare di longevità in salute, a 360 gradi. Il mercato sta cominciando a rispondere a un bisogno e a un desiderio consapevole”.
I fattori economici sono quindi il grande vulnus?
“Sì, i determinanti di salute oggi sono soprattutto sociali. Le donne guadagnano meno degli uomini, sono penalizzate nella loro carriera a causa della maternità o del caregiving e tutto questo penalizza il loro capitale, rendendole più dipendenti economicamente dal compagno/marito e, in sostanza, più fragili. E qui c’è tutto un campo di azione ancora inesplorato: quello dei servizi finanziari e delle assicurazioni, che non hanno ancora come target le donne. C’è un grande bisogno di prodotti finanziari e soluzioni pensati specificamente per la popolazione femminile. È un concetto nuovo che non possiamo non prendere in considerazione quando si parla di ‘femgevity’, perché ha ripercussioni immense sulla politica, sull’economia e sul sistema-paese in generale”.