fbpx

Uomini e donne hanno bisogni diversi anche per quanto riguarda i farmaci. Ma la medicina lo ignora.

Intervista a Flavia Franconi

Articolo di SoLongevity
Flavia Franconi ha molte vite. Laureata in Psichiatria, ha insegnato Farmacologia all’Università di Sassari. Poi è stata Assessore alla Salute in Basilicata. Ma al centro dei suoi interessi c’è da sempre la salute delle donne. È infatti la “madre nobile” della medicina di sesso-genere in Italia, e oggi è anche al centro di un network internazionale come presidente della Commissione Salute di Women20. A lei abbiamo chiesto di raccontarci quali sono le differenze tra i sessi quando si tratta di invecchiamento.

Professoressa Franconi, possiamo dire che gli anni non passano allo stesso modo per gli uomini e per le donne?

“L’invecchiamento è un fenomeno biologico che avviene in maniera abbastanza diversa tra i sessi, a causa della diversa fisiologia. Sappiamo da tempo che le donne vivono in media più a lungo degli uomini, quindi invecchiano di più (basti pensare che sopra i 90 anni gli uomini sono 25 su 100 mentre le donne 75 su 100) e devono fare i conti con una qualità di vita peggiore a causa delle malattie che insorgono con il passare degli anni. Ma per una volta, anziché dalle differenze fisiologiche, proviamo a partire dalle differenze di genere, ovvero dalla diversa condizione di uomini e donne all’interno della nostra società. Questo sguardo ci restituisce un panorama preoccupante. In primo luogo, le donne anziane sono spesso più povere degli uomini di pari età: magari perché hanno perso la pensione del marito, o perché comunque hanno una pensione più bassa rispetto a quelle degli uomini. Il livello socio-economico è uno dei più importanti determinanti di salute: la povertà porta a curarsi di meno, a prendersi meno cura di sé, a non fare attività fisica (se non possono permettersi di affrontare i costi di una palestra). Non solo: la povertà ha come conseguenza anche un’alimentazione di scarsa qualità, che certo non giova alla salute. Infine, oltre che più povere, le donne anziane sono anche più sole: magari sono vedove, hanno figli grandi che sono lontani da casa, e così si ritrovano abbandonate e depresse. Facile immaginare quanto questi fattori incidano negativamente sulla salute”.

Giusto partire dagli aspetti di genere. Ma quali sono invece gli aspetti di tipo fisiologico che rendono diversi uomini e donne nell’invecchiamento?

“Intanto sappiamo bene che prima di una certa età le malattie cardiovascolari colpiscono di più il sesso maschile. Poi, quando la donna va in menopausa, il rapporto si inverte, e diventa più a rischio anche a causa della chiusura del cosiddetto “ombrello ormonale” che l’aveva protetta durante l’età fertile. Inoltre, in menopausa le donne iniziano ad ammalarsi di diabete di tipo 2, malattia che porta maggiori complicanze (infarto e scompenso cardiaco) nelle donne che negli uomini. Senza dimenticare, come aveva già osservato il padre della medicina occidentale Ippocrate, che le donne si ammalano di gotta solo dopo la menopausa. Le anziane hanno anche un maggior rischio di sviluppare una qualche forma di demenza, come per esempio l’Alzheimer, mentre gli uomini vanno più facilmente incontro al Parkinson.

Sappiamo poi che alcuni organi invecchiano in modo diverso nei due sessi. La funzionalità renale, per esempio, diminuisce con l’età più negli uomini che nelle donne, anche se il perché di questo fenomeno non è ancora chiaro. Ancora, nelle donne i lipidi tendono ad aumentare dopo la menopausa, mentre nell’uomo rimangono costanti. L’invecchiamento poi determina anche una differenza nella distribuzione del grasso corporeo. Alla confluenza tra sesso e genere c’è poi il caso dell’osteoporosi: questa è una malattia che colpisce anche il sesso maschile, sebbene molto meno che quello femminile. In Italia ne soffrono 5 milioni di donne e 800.000 uomini, ma questi ultimi sono più spesso vittime di fratture”.

In che modo i medici dovrebbero tenere conto di queste differenze quando prescrivono un farmaco?

“Una delle cose che abbiamo sempre detto è che sarebbe necessario modificare il dosaggio dei farmaci o dei nutraceutici a seconda del sesso. Ma la cosa è più complessa di così, e riguarda il modo diverso in cui uomini e donne processano le molecole. Parliamo per esempio di medicinali presi per bocca (perché le differenze variano anche a seconda della via di somministrazione, che sia orale, intramuscolare o sottocutanea): la prima tappa è lo stomaco. Nell’uomo questo ambiente ha un PH più basso rispetto alla donna, dunque l’ambiente è più acido, e questo influisce sull’assorbimento del farmaco, a seconda che sia un farmaco acido o basico. Non solo: anche la motilità del tubo gastrointestinale è diversa, più lenta nelle donne, e anche questo ha un impatto sul modo in cui il farmaco svolge la sua azione. Dall’intestino i principi attivi devono poi passare nel fegato per essere metabolizzati, grazie ad alcuni enzimi che sono espressi diversamente nei due sessi: alcuni più nel maschio, altri più nella femmina. Il risultato è che, per esempio, gli enzimi che metabolizzano gli antidepressivi sono in genere più numerosi nell’uomo, mentre quelli che metabolizzano le statine sono in media più presenti nella donna, anche se ovviamente ci possono essere eccezioni. Ma non è finita qui: questi enzimi sono sensibili agli ormoni, così che nella donna le condizioni possono variare con la menopausa, con le mestruazioni, con l’uso di contraccettivi orali, con la Terapia Ormonale Sostitutiva. Queste 4 diverse “situazioni ormonali” ci fanno comprendere che in farmacologia “la” donna non esiste: ne esistono almeno quattro tipi diversi. Se poi vogliamo considerare anche le variazioni di questi enzimi dovute all’età e all’azione del microbiota, anch’esso diverso tra i sessi e variabile a seconda della dieta, dunque anche del luogo in cui si vive, diventa tutto terribilmente complicato, sebbene molto affascinante da studiare. E questo non vale solo per i principi attivi, ma anche per gli eccipienti, che a torto sono considerati inerti. Dunque la sfida non è tanto di prescrivere dosi diverse, ma di produrre farmaci e integratori diversi per uomo e donna sulla base di queste conoscenze”.

Tornando al genere, è diverso anche il modo in cui uomini e donne si comportano in relazione con l’aderenza alla terapia?

Purtroppo su questo tema abbiamo ancora pochi dati. Ma quelli che abbiamo ci dicono che in genere gli uomini sono più aderenti alla terapia, sia nel campo del cardiovascolare che in quello del sistema nervoso. È vero, suona strano perché in genere le donne seguono le regole più degli uomini, ma soprattutto le fanno seguire agli altri componenti della famiglia. Tuttavia, quando si tratta di quelle donne sole e depresse di cui si diceva prima, è ovvio che l’aderenza alla terapia si riduce. Ma la cosiddetta compliance è determinata da tanti fattori, alcuni persino legati al luogo in cui si vive. Le persone di città sono in media più aderenti di quelle che vivono nelle zone rurali. E poi dipende anche da chi prescrive la cura. Qui sappiamo che c’è un diverso atteggiamento prescrittivo tra medici uomini e donne medico. E sebbene anche in questo settore ci siano pochissimi dati, sappiamo in linea generale che le donne medico prescrivono meno, e parlano di più con i pazienti. Sappiamo anche che le pazienti donne seguite da un medico donna raggiungono più facilmente i target terapeutici. Per i pazienti maschi, invece, sembra essere indifferente essere seguiti da medici maschi o femmine.

Abbiamo parlato di farmaci, ma quello che abbiamo detto vale anche per gli integratori?

Quello delle differenze di sesso-genere negli integratori è un settore ancora largamente inesplorato, e c’è molto lavoro da fare. Io per esempio sto lavorando sulla taurina e i suoi effetti su cellule maschili e femminili, e le differenze sono evidenti, così come anche quelli dell’acetilcisteina. Di prossima pubblicazione, invece, saranno i dati relativi agli estratti derivati dalle foglie dell’olivo. Ricordo poi che abbiamo informazioni sulla nutrizione quando si fa esercizio fisico, per esempio in campo sportivo, ma queste sono ottenute prevalentemente nell’uomo. I bisogni delle donne, che come abbiamo visto cambiano durante il ciclo mestruale o la menopausa, sono stati trascurati. Appare evidente, insomma, che la medicina deve abbandonare l’androcentrismo che la caratterizza per produrre dati che permettano una cura e una nutrizione appropriata per tutti.

Flavia Franconi, psichiatra e farmacologa, è una delle massime esperte italiane di Medicina genere-specifica. Laureata in Medicina e Chirurgia all’Università di Firenze, è stata ordinaria di Farmacologia Cellulare Molecolare e coordinatrice del Dottorato di Farmacologia di Genere all’Università di Sassari. Ha all’attivo più di 170 pubblicazioni, oltre ad aver diretto la rivista trimestrale “Quaderni della SIF” della Società Italiana di Farmacologia. È presidente della Commissione Salute della Women20 Initiative. È stata membro di varie commissioni sulla Salute a livello nazionale e regionale. È stata eletta nel Consiglio Comunale della Regione Basilicata nel 2013, svolgendo il ruolo di Vicepresidente e di Assessore alla Salute e Sicurezza.

Ultimi articoli pubblicati

Vuoi maggiori informazioni?